Dott. Federico Collinelli
05 giugno 2014
In materia di condominio negli edifici, è possibile individuare due tipi di regolamento condominiale: un tipo di natura contrattuale, sottoscritto dai condomini e mediante il quale la suddivisione delle spese condominiali relative alla manutenzione delle parti in regime di comunione o all’erogazione dei rispettivi servizi di interesse comune viene suddivisa secondo determinati criteri che possono anche differire dai criteri previsti dalla normativa del codice civile, vi è poi un tipo di regolamento originato in sede di assemblea condominiale, una volta intervenuta la sua approvazione con la maggioranza dei condomini secondo un determinato quorum costitutivo e deliberativo. E’ oramai sempre più frequente che nel caso di realizzo nuovi edifici o di riqualificazioni di vecchi stabili, l’impresa edile proprietaria dell’immobile, rediga unilateralmente il regolamento condominiale inserendovi clausole a proprio favore, mettendo i successivi acquirenti di fronte al fatto compiuto e quindi non lasciando loro alcun margine di trattativa.
L’acquirente, nella prassi quotidiana, si trova di fronte alla scelta netta e limitata di accettare tout court le condizioni contrattuali prospettate oppure perdere l’occasione di acquisto ed il tutto con impatto psicologico determinante.
Spesso capita anche che l’acquirente non si renda proprio conto dell’entità dell’onere assunto con la propria sottoscrizione del contratto di regolamento condominiale.
Una tipica e ricorrente clausola di esclusivo favore per il costruttore proprietario, è rappresentata dalla previsione di un’esplicita esclusione da ogni spesa condominiale pro quota da parte del costruttore stesso, che quindi non contribuirà alle spese per le parti condominiali riconducibili al valore delle sue unità immobiliari rimaste invendute. Tale tipo di clausola contrattuale inserita nel regolamento condominiale predisposto dall’impresa costruttrice, così detta parte forte del rapporto fra costruttore-proprietario ed ulteriori successivi condomini, rappresenta una tipica figura di clausola vessatoria, il cui contenuto manifesta un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto concluso tra il consumatore ed il professionista, in tal senso disciplina l’articolo n. 36 del D. Ivo n. 206/05, cosidetto codice del consumo.
Se quindi tale clausola è per principio generale di carattere vessatorio e quindi illegittima e nulla, tuttavia valgono le seguenti precisazioni per fare salva l’eventuale legittimità della suddetta clausola.
Bisogna innanzitutto rilevare che l’articolo n. 1123 1° comma del codice civile stabilisce che: “Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.”
Se quindi il principio generale è quello della ripartizione delle spese fra condomini per l’uso e per la manutenzione delle cose in regime di comunione o per le prestazioni di servizi nell’interesse del condominio secondo un criterio di proporzione millesimale riferibile al valore della proprietà privata di ciascuno, è però esplicitamente riconosciuto un principio di carattere derogatorio che si concretizza in un’eventuale diversa convenzione fra le parti.
Tale principio di deroga, rappresentato dalla diversa convenzione intervenuta fra le parti, viene pacificamente riconosciuto dalla costante giurisprudenza (c.f.r. Cass. Sez. II, sent. n. 6844/1988; Cass. Sez. II, n. 7039/1988; Cass. Sez. II, sent. n. 5975/2004), che, stando al contenuto delle succitate sentenze e qui di seguito brevemente riferito, ha il seguente tenore letterale: “In linea di principio è pacifico che l’art. 1123 c.c. nel consentire la deroga convenzionale ai criteri di ripartizione legale delle spese condominiali non pone alcun limite alle parti, con la conseguenza che deve ritenersi legittima, non solo una convenzione che ripartisca le spese fra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l’esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall’obbligo di partecipare alle spese medesime.”
In sostanza, l’esonero dalle spese condominiali per il costruttore e quindi per le sue unità immobiliari invendute, se contenuto in un regolamento contrattuale da lui predisposto e poi sottoscritto dai condomini al momento del rogito è assolutamente legittimo.
Va però precisato che la corte di Cassazione ha ribadito che tale clausola liberatoria si traduce automaticamente in clausola vessatoria quando quest’ultima viene prevista per una durata temporale illimitata.
La suprema corte, ha all’uopo fissato il limite temporale massimo nei primi due anni finanziari del condominio dalla data del primo rogito. In caso di durata illimitata o superiore ai primi due anni finanziari del condominio, tale pattuizione è considerata vessatoria quindi nulla a tutti gli effetti nei confronti dell’acquirente consumatore a meno che quest’ultimo non abbia posto la cosidetta seconda firma ai sensi ai sensi e per gli effetti degli articoli 1341 e 1342 del codice civile, che comprovi l’espressa accettazione del carattere vessatorio della suddetta clausola.
Stando quindi al dato letterale dell’art. 1341 comma II del codice civile si evidenzia che non hanno effetto, se non sono specificatamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospendere l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria.
E’opportuno e necessario in questa sede ricordare che il condomino acquirente è beneficiario di una specifica tutela di legge contenuta nel decreto legislativo n. 206 del 2005 comunemente definito codice del consumo. Tale normativa è fra l’altro esplicitamente richiamata dall’articolo 1469 bis del codice civile. L’articolo 3 del decreto succitato stabilisce che:
“Si intende per:
- consumatore o utente: la persona che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta;
- professionista: la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario.”
Mentre l’articolo 33 del medesimo decreto, stabilisce che:
“Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.
Nel caso pratico qui esaminato, non vi è dubbio alcuno che il costruttore edile è da considerarsi il professionista che conclude un contratto di vendita di un suo bene immobile con l’acquirente condomino che è il consumatore nell’ambito del medesimo rapporto contrattuale.
Proseguendo nell’analisi dell’art. 34 del codice del consumo, va evidenziato il tenore letterale dello stesso che al comma I sancisce: “La vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di altro collegato o da cui dipende.”
Mentre ai successivi commi 4 e 5 viene stabilito che:
“Non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale.
Nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista l’onere di provare che le clausole, o gli elementi di clausola, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore”.
Per concludere, si può affermare che la clausola di favore per il costruttore professionista (contenuta nel regolamento condominiale già da lui predisposto), che stabilisce un’esclusione dalle spese condominiali in capo al medesimo e quindi volta a svantaggio degli altri condomini, acquirenti consumatori, avrà piena legittimità se prevista per non oltre i primi due anni finanziari del condominio e a decorrere dalla data del primo rogito, in caso contrario, se è prevista una durata illimitata, o superiore ai due anni finanziari, per mantenere piena efficacia di legge, tale clausola abbisognerà della cosiddetta seconda firma che comprovi una specifica trattativa ed espressa accettazione della medesima da parte del condomino acquirente, viceversa la clausola sarà considerata vessatoria e quindi nulla agli effetti di legge.
E’ quanto successo a me. Assieme ad altri ho dovuto pagare per 6 anni le spese condominiali poste a carico del costruttore, che ha avuto almeno il buongusto di non farsi mai vedere in assemblea.
Anni addietro alcuni hanno fatto di peggio con il rovinare tante famiglie. Dopo aver venduto l’ultimo appartamento facevano fallimento e chi aveva comprato casa ha dovuto poi renderla indietro, senza riavere i propri soldi. Per fortuna oggi ci sono leggi che tutelano chi compra.
I costruttori che agiscono così si propongono in male modo. Farebbero meglio prezzare l’immobile mille euro in più e tutto si risolverebbe nel miglior dei modi.